Marie France TRISTAN
EXPLORATION DU BAROQUE
LUANA SALVARANI (Centro Studi Archivio barocco, Università di Parma), Per un nuovo Marino. “La scène de l’écriture” di Marie-France Tristan e l’ultima edizione dell’“Adone” a cura di Marzio Pieri (2004) 1
           Il saggio della Tristan e la nuova edizione dell’Adone,  nonostante le intrinseche differenze d’impostazione, rivelano un’unità  d’intenti che ne giustifica una lettura in parallelo. Il principio che guida  entrambe le riletture è il medesimo: un sistema filosofico e teologico  originale sottende l’opera del Marino ed è nostro compito restituirne la  visibilità attraverso la rete di allusioni, non-sistematica, e spesso  antifrastica, con la quale esso viene velato e disvelato nelle opere mariniane.  La prosa e la poesia del Marino si rivelano quindi come atto conoscitivo e  non tanto come metafora o trascrizione di un’elaborazione teorica.
           Il lavoro della Tristan dimostra, con ricchezza di  dati, un assunto fondamentale: l’atto del poetare – nel duplice aspetto della  pronuncia/canto e della scrittura – è, in quanto creatore di miti,  la modalità privilegiata della conoscenza,  superiore alla riflessione teorica astratta. Nel primo capitolo del volume (i Préliminaires),  un percorso analitico lungo alcune teorizzazioni maggiori dell’arte retorica  secentesca — con particolare attenzione al Tesauro — dimostra come, per i poeti  barocchi, la figura retorica non servisse ad esprimere e ‘contenere’ un  significatopiù o meno univocamente simboleggiato, ma costituisse un primum atto a generare significati e mondi non pienamente controllabili  dall’autore. In tal modo la lettura dell’arte barocca (in tutte le sue forme,  letterarie, musicali e visive) non si risolverebbe né nella degustazione di  cesellature stilistiche fini a se stesse, né nella risoluzione di più o meno  difficili ed arguti giochi d’enigmistica simbolica. L’atto poetico mariniano  viene ribadito come un atto di creazione-incarnazione la cui valenza  ‘teologica’ consiste nel riproporre in atto (non spiegare allegoricamente) sulla scena della scrittura il movimento di creazione-incarnazione-disvelamento  alla conoscenza implicito nel mistero trinitario (la Tristan evidenzia anche  come sul punto di una controversia teologica assai sottile come quella sulle  parole del Credo, ‘qui ex pater filioque procedit’, il Marino avesse una  sua posizione precisa e non ortodossa). «De cette féerie métamorphique le foisonnement  métaphorique n’est lui-même qu’une transcription verbale, une adaptation au  champ spécifique du logos. Ce rapprochement entre métamorphisme et  métaphorisme n’a rien de gratuit ».
           L’edizione dell’Adone a cura di Marzio Pieri  condivide questo assunto, che sta alla base della revisione del testo e di un  ripensamento dei criterî ecdotici, in quanto esiti di interpretazione. Se  l’atto poetico, cogliendo un suggerimento della Tristan, è elocutio in  senso proprio — nel senso di pronuncia, o con termine più  specificamente vocale, di emissione —, ogni inflessione del testo serve  a trasmettere una significazione complessa, che passa non solo attraverso la  decodifica del testo e la sua comprensione razionale, ma anche attraverso le  vie sensoriali : l’udito, per la ‘recitazione interna’ dei versi (e  basterebbe a documentarlo l’eccezionale varietà accentuativa e di ritmo  sintattico dell’endecasillabo mariniano), la vista, per una percezione  ‘gestaltica’ della pagina, gli altri sensi attraverso l’evocazione. Quindi la  trascrizione non obbedisce a ideali estetici, in quanto tali, esterni al  testo (siano quelli classico-razionalistici della normalizzazione o quelli  cultistico-superstiziosi di una conservatività non interpretativa): la fedeltà  alla prima edizione, e quindi in sostanza al testo sorvegliato dall’autore, si  esprime soprattutto in scelte come l’organizzazione della punteggiatura — che  già nella princeps scandisce i periodi con logica complessa ma rigorosa,  che quindi non richiede interventi radicali — e la conservazione di grafie con  valore fonetico come certe consonanti scempie e come le u semivocaliche  non trasformate in v, nella consapevolezza che questi suoni fanno parte  della partitura del poema, ne indicano la pronuncia mentale, l’elocutio,  parte integrante del senso del testo. L’obiettivo di un’interpretazione  “aperta” è del resto ribadito dalla presenza, nel terzo volume, di una serie di Materiali (biografie del Marino e commenti coevi) che forniscono al  lettore dati di non facile reperibilità, senza inquadrarli nella struttura  fortemente predeterminata del “commento” in forma di note a piè di pagina.
            Anche Marie-France Tristan si sofferma a lungo  sull’importanza del testo del poema, la cui costruzione è regolata nei minimi  particolari con un alto grado di consapevolezza, trattandosi di una vera e  propria macchina con due funzioni : da una lato quella di  rispecchiamento, in funzione di microcosmo, del sistema di archetipi  dell’universo (le cui leggi raggiungono l’uomo lungo il sistema ternario logos-cosmos-anthropos,  il cui primo termine, il logos, riprende vita, si reincarna a livello  dell’uomo tramite l’atto poetico); dall’altro, quella di fungere da matrice, a  sua volta, per la creazione di nuovi mondi immaginativi, che dalle metafore e  dai congegni retorici del poema si originano e assumono, nella mente del  lettore, una vita propria e imprevedibile. Con le parole di Roland  Barthes : « Ora, attraverso queste figure di retorica il linguaggio  impone tutta una ripartizione del mondo. È un fatto di stile? Di lingua? né  dell’uno né dell’altra; si tratta in realtà di una vera e propria istituzione,  di una forma del mondo, importante quanto la rappresentazione storica  nello spazio dei pittori ».
            Si risolve, attraverso questa analisi, anche la  dicotomia tra un possibile Marino “materialista” e la complessità delle  problematiche trascendenti e spirituali presenti nella sua opera. Dato che il  cosmo si compone di varie dimensioni, rispecchiantesi l’una nell’altra (secondo  la nomenclatura della Tristan : mondo archetipo / mondo sovrintelligibile  / mondo intelligibile / mondo sensibile),   sia la somma astrattezza e ineffabilità dell’archetipo, vicino al logos,  sia la concretezza del mondo sensibile, fanno parte della stessa sostanza  conoscibile, hanno in definitiva la stessa importanza. In tal modo si  stabilisce un apparente relativismo assoluto, che in realtà non fa che  riproporre il mutevole caleidoscopio di apparenze attraverso il quale i  meccanismi del cosmo (e dell’uomo suo interprete privilegiato e assieme sua  parte caduca e animale) si manifestano.
           La complessità del mondo  religioso mariniano sottende l’intero saggio della Tristan : « Toutes  les allégories mythologiques utilisées par l’auteur s’inscrivent dans la  continuité du courant humaniste qui, surtout depuis le XIV siècle, dans le  cadre des nombreuses “moralisations d’Ovide”, voyait dans les fables antiques  des figurations des mystères chrétiens ».  Ci limiteremo  quindi ad accennare ad alcuni dei temi più importanti. Innanzitutto, ciascuno  dei differenti “mondi” che compongono la cosmologia mariniana è governato da  forze che possono essere rappresentate da divinità differenti o anche dalle  medesime divinità, ma riguardate su piani diversi. Ciò riguarda in particolare  i personaggi principali del poema. Il ben noto rispecchiamento Cristo-Adone si  colloca all’interno di un sistema complesso all’interno del quale esistono due  Veneri (una appartiene al mondo intelligibile, l’altra al mondo  sovrintelligibile) e due Amori (l’uno, intelligibile, figlio di Marte; l’altro,  sovrintelligibile, figlio di Vulcano). Più in generale si identifica una  teologia olimpica “intelligibile”, di livello inferiore, guidata da Giove  (nella quale troviamo significativamente confinato Apollo, assieme alla figura  negativa di Diana), e una teologia “sovrintelligibile”, superiore, dominata da  Vulcano — figura magica di deus faber — prima della sua “cacciata dal  Paradiso” e da una alma Venus identificabile con le forze armoniche  della natura. Il valore di queste corrispondenze viene ulteriormente  risignificato dal parallelismo Cristo-Pan vigente nel poema. Il sistema  filosofico mariniano è quindi impostato su quella che la Tristan chiama etica  dionisiaca, al cui centro sta l’immagine del Sileno, deus absconditus e  figura del “Christus patiens” : immagine alla luce della quale vengono  rilette e interpretate dal Marino favole ovidiane come quella di Bacco e  Arianna o quella di Pampino, o ancora storie come quella d’Atteone (già  soggetto di un idillio della Sampogna) in chiave di “mito sacrificale”.  L’Autrice ribadisce comunque spesso che non è possibile una lettura univoca, di  tipo “figurale”, del sistema teologico-mitologico mariniano, il cui assunto  fondamentale è la polisemia e la mutevolezza dei significati.
           Rispetto all’eredità del poema in ottave, nella quale  l’Adone si colloca necessariamente (pur nella variante del “poema di  pace” di matrice ellenistico-ovidiana, secondo la fortunata definizione dello  Chapelain), il Marino va quindi a continuare il mondo immaginativo e  rappresentativo dell’Ariosto, ponendosi in consapevole discontinuità con il  Tasso. Su questo tema si sofferma il Pieri, nella sua introduzione,  ripercorrendo i controversi rapporti del Marino col “mito” tassiano : la  scelta del poeta appare ora dettata non solo da scelte di gusto, ma anche da  una più articolata idea filosofico-religiosa che si apparenta (come la Tristan  documenta in più luoghi del suo saggio) al filone che dal neoplatonismo rinascimentale  si collega alla gnosi e alla kabbalah ebraica. Scrive il curatore  nell’introduzione : « Oggi i meno distratti sanno bene che è inutile  parlare di Barocco come di un evento di cui ci renda conto la ragione estetica  o, men che meno, estetico-letteraria. Io farei un passo avanti, propositivo: fu  una questione religiosa. E Marino lo seppe fra i primi ». Una questione  religiosa di cui non poteva non rendersi conto la corrente antimarinista del  Barocco romano, che scelse invece l’eredità del Tasso. 
           In questo senso il dittico saggio-edizione si pone  come punto di partenza possibile di tutta una nuova stagione critica sul  Barocco, non più inficiata dalla idée reçue per cui il Marino “carebat  philosophico ingenio”, secondo la formula di condanna coniata dallo storico  gesuita Sforza Pallavicino. Già nel 1955 il critico inglese W. B. C. Watkins  poteva scrivere, nella sua Anatomy of Milton’s verse, che  Milton « vede tutta la gamma che va dal  fisico, e in particolare dai sensi, fino al sommo Divino senza soluzione di  continuità. Questa accettazione felice significa che egli è libero di  parlare di qualsiasi ordine dell’essere (materia inanimata inclusa) usando gli  stessi termini sensuali come maggior denominatore comune ». Il saggio di  Marie-France Tristan pone fine all’equivoco per cui l’uso dei termini  sensuali ha a lungo limitato l’immagine del Marino, nella critica  letteraria, al ristretto campo dell’oreficeria stilistica erotico-pastorale,  restituendo così all’opera del poeta napoletano la possibilità, a lungo negata,  di un’analisi approfondita e un dibattito su questioni di sostanza.